Quando una persona arriva in terapia porta un racconto che solitamente corrisponde al modo in cui si spiega il proprio malessere. Questa condizione di sofferenza e limitazione della propria libertà che spinge a cercare la cura, a volte corrisponde a dei sintomi, altre volte a una distanza da sé, talvolta a un disorientamento, ed è sempre vissuta come un disturbo a cui si cerca di dare senso.

 

Quella narrazione è traccia dell’esperienza vissuta del paziente, dei suoi modi di sentirsi nelle varie situazioni, e al contempo un’apertura che permette al terapeuta un primo accesso a quel singolare mondo della vita, che nel corso della terapia verrà gradualmente dispiegato.

 

In un clima di fiducia reciproca e sospensione del giudizio, si struttura quindi un percorso di cura unico, confezionato sull’individualità della persona e che ha come perno una peculiare relazione terapeutica.

 

I primi movimenti della psicoterapia mirano a cogliere l’esperienza vissuta del paziente, ossia i modi con cui è emotivamente inclinato e assume posizione verso le diverse situazioni, per poi riprendere e comprendere i tragitti che l’individuo ha percorso per posizionarsi in un certo modo rispetto ad alcuni eventi della propria vita. La valenza trasformativa di una cura attraverso il dialogo consiste nella possibilità di cercare nuove accordature e aperture di senso e contemporaneamente riorientarsi secondo traiettorie più autentiche.

 

Il terapeuta assiste il paziente nel percorso di riavvicinamento a sé a partire dal momento presente e in vista di un possibile futuro. La psicoterapia è quindi movimento di ripresa e generativo, l’introduzione di una rinnovata motilità nell’esistenza del paziente che si riappropria delle sue possibilità più proprie, della sua libertà, avendo cura di sé.